mercoledì 22 gennaio 2014

La difficoltà della semplicità.

Riflettevo ancora in merito alla corrispondenza metaforica che intercorre fra le tecniche di preparazione delle ricette e gli episodi della vita; cucina è vita dice qualcuno, ed io ne sono fermamente convinta.
Le ricette difficili sono quelle in cui profondiamo più impegno, quelle per cui siamo disposti a perdere ore per assicurarci la riuscita che, nella maggior parte dei casi, non sarà mai perfetta; ma è proprio questo che ci spinge a preferire piatti elaborati a piatti semplici: il fatto che possiamo permetterci di sbagliare, di non eseguire perfettamente la ricetta, di ricevere un complimento anche dinanzi ad un piatto mediocre: "Nonostante sia difficile, è buonissimo lo stesso", "La prossima volta verrà benissimo!", "Io non sarei nemmeno riuscita a cominciare!".
Cimentarci in imprese impossibili ci lascia un largo margine di errore tollerabile, da noi e dagli altri; in un certo qual modo ci sottrae dalla possibilità che qualcuno ci giudichi negativamente per ciò che stiamo facendo; un risultato mediocre di fronte ad azioni titaniche è pur sempre un risultato, ci fa sentire sicuri, unici, vincenti.
Le cose semplici invece, non lasciano scampo: chiunque potrebbe riuscirci e tutto sta nel farle al meglio. In quel caso l'errore non è contemplato, è visto come un fallimento irreparabile, come un qualcosa le cui conseguenze ci perseguiteranno per tutta la vita.
Ecco che si ha paura talmente tanto paura del fallimento che si evita di dire: "Scusa", "Ho sbagliato", "Voglio andarmene da qui", "Ti amo"; e se le conseguenze di queste semplicissime frasi fossero troppo vergognose per essere affrontate?
Prendere una posizione personale, essere onesti con sé stessi, sostenere le proprie idee, dire sempre la verità: concetti universalmente riconosciuti di cui tutti ci riempiamo la bocca, ma che nessuno, alla fine, concretizza davvero; si dà per scontato che tutti lo facciano, perché è semplice, ed è proprio per questo che azioni umane e banali come queste diventano innaturali.
Quindi meglio combattere guerre ideologiche, mettersi la maschera delle persone infallibili, degli impavidi che ambiscono ai risultati più difficili ma che rifuggono come la peste le azioni semplici, spontanee che ci renderebbero più facile anche il raggiungimento degli obiettivi che sembrano impossibili.
Metafora culinaria di questo personalissimo concetto sono le uova in camicia: nonostante l'apparente semplicità è sempre stato un piatto che mi ha messo in difficoltà. "Che ci vuole?" sono solita ripetermi, "Basta che butti un uovo direttamente nell'acqua bollente ed è fatta!", ma poi un tremore della mano, l'acqua non abbastanza calda ed ecco che l'uovo più che in camicia somiglia ad una stracciatella alla romana.
Cucinare un perfetto uovo in camicia credo mi sarà sempre impossibile come trovare il coraggio di esprimere i miei sentimenti: nonostante le apparenze, è un'impresa titanica al pari di una ricetta d'autore attenersi alle scelte prese solo con la testa. Ecco che per me l'errore diventa contemplabile, accettabile, insindacabile.

UOVA IN CAMICIA

lunedì 20 gennaio 2014

Ricomincio da qui.

Ben trovati!
Dopo troppi mesi di silenzio mi affaccio di nuovo in punta dei piedi trovando me stessa nelle parole e nelle ricette del blog che per necessità ho abbandonato. Mi ritrovo e mi stupisco.
La malinconia è il segno sotto il quale è cominciato un nuovo anno e le domande sono sempre le stesse; tutto è cambiato, non so se in meglio, ma i dubbi sono sempre presenti ed imperituri.
Il bisogno di ritrovarmi nei gesti abituali è talmente tanto forte che ho deciso di ricominciare da ciò che più di tutto mi fa sentire me stessa, la cucina; ecco perché da oggi in poi riprenderò la mia attività di food blogger, libera da qualsivoglia forzatura, senza nessuno che mi dica come e cosa scrivere.
E' un inizio, per riconoscere me stessa in tutte le sfumature della mia unica passione, perché è più facile esprimere quello che sento sporcandomi le mani di farina, di olio e di spezie piuttosto che perdermi in spiegazioni inconcludenti ed incomprensibili, perché la cucina è una lingua universale che tutti comprendono senza convenevoli né frasi di circostanza.
E per il primo post ho scelto una ricetta di recupero, perché nonostante le premesse, l'unica cosa di cui sono sicura a tutt'oggi è che, qualsiasi vita vi sia toccata, niente di tutto quello che avete vissuto può essere buttato, dimenticato, eliminato; ogni esperienza lascia dentro di noi un qualcosa da cui partire per provare a cambiare, a ricostruire, a ricominciare.